Pubblicato da: Mattia Civico | 27 Maggio 2023

Comperare il proprio campo, nella Barbiana di oggi

di Mattia Civico* e Piergiorgio Reggio**

Ricorre oggi il centesimo compleanno di don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana. Lo sentiamo testimone prezioso, generoso ed incisivo perché, pur in una condizione di esiliato dalla Chiesa e dalla società del suo tempo, ha avuto la straordinaria capacità profetica di mettere al centro questioni fondamentali tutt’ora attuali. La sua scuola, sempre aperta e spesso all’aperto, ha concretamente proposto cultura e conoscenza come strumenti per il riscatto degli esclusi e per la lotta a ingiustizie e diseguaglianze. Da Barbiana è scaturita l’affermazione del valore della cultura di chi vive in montagna, che era ed è differente ma non inferiore a quella di chi vive in città. La sua scuola, senza giudizi e senza voti, ma anche senza vacanze e senza ricreazione, ha dato una concreta alternativa di vita a giovani che, fino ad allora, avevano solo l’opzione della stalla (“la scuola è meglio della merda”). La piccola scuola di Barbiana diventa così una palestra, severa e rigorosa, di lettura della realtà e di sviluppo del senso critico. Lontana dal mondo ma, proprio perché distante, affacciata su di esso per interrogarlo senza indulgenza.  Le lettere inviate da Barbiana, quelle scritte dal Priore con i suoi ragazzi, inviate ad una professoressa, ai cappellani militari e quelle scritte alla sua mamma, rilette oggi, ci consegnano la sfida ancora attuale della necessità di denuncia delle incoerenze e delle ingiustizie sociali. Un prete obbediente, fino alle estreme conseguenze, che ha provocato le coscienze e preso parte con decisione quando le circostanze lo imponevano. Per questo don Milani, ancora oggi divide. Egli si è schierato dalla parte di chi è escluso denunciando che bocciature a scuola, svalorizzazione delle culture minoritarie e discriminazioni nei confronti di chi non è istruito si spiegano non con la “teoria delle attitudini” (vi è chi è più portato per pensare e chi per fare) ma con ragioni strutturali – di carattere economico, culturale e politico – che rispondono ad un chiaro disegno di controllo sociale. Le Barbiane di oggi hanno ragazzi e ragazze che abitano le periferie urbane o che provengono da altri Paesi con il loro carico di speranze e disperazione, ma identiche sono rimaste le cause strutturali che contribuiscono a produrre la loro esclusione sociale. Se la scuola di Barbiana è comprensibilmente terminata con la morte del maestro, il suo spirito più autentico di educazione che cerca di essere e fare giustizia sopravvive nelle pratiche quotidiane di molti insegnanti, educatori e genitori, cittadini che non accettano le contraddizioni sociali come immutabili.

Per questo tornare a Barbiana oggi non è una semplice commemorazione ma serve a riscoprire il senso dell’educare e dell’impegnarsi per una società più giusta. Lì possiamo ritrovare le ragioni ed il significato – spesso smarrito – dell’imparare e dell’insegnare. C’è un episodio della vita del Priore che, forse più di altri, ci racconta non solo il suo carattere determinato e radicale, ma anche le radici più profonde della sua potenza profetica. In obbedienza al cardinale Dalla Costa, il 7 dicembre del 1954, in un giorno di pioggia, egli lascia San Donato di Calenzano e raggiunge (salendo a piedi l’ultimo tratto di una stradina di montagna) la canonica di Barbiana, un luogo sperduto sulle colline di Vicchio, abitate da famiglie di contadini e allevatori: la sua canonica è una casa senza acqua e senza luce, con una piccola chiesetta accanto. Un posto perfetto per chi aveva l’obiettivo di silenziare quel prete scomodo. Alla sua mamma, poco dopo il Natale dello stesso anno, scriverà con severa lucidità: “Non posso però credere che tu desideri che io mi metta nello stato d’animo del passante o del villeggiante. (…) Non c’è motivo di considerarmi tarpato se sono quassù. La grandezza d’una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose. E neanche le possibilità di far del bene si misurano sul numero dei parrocchiani.” Questo il contesto e questi i sentimenti di quell’inverno lontano. Veniamo all’episodio chiave. Il giorno dopo l’arrivo di don Lorenzo a Barbiana, scoperta la desolazione del posto a cui era destinato, egli scende nuovamente verso Vicchio e va a trovare don Renzo Rossi, il cappellano del paese, e gli chiede di accompagnarlo in Municipio, per comprare il terreno per la propria tomba, nel piccolo cimitero di Barbiana: avere il proprio posto in quel campo santo lo avrebbe aiutato a sentirsi “totalmente legato alla sua nuova gente, nella vita e nella morte”.

Barbiana, da luogo di esilio e silenzio, di programmata “morte civile e religiosa” del Priore, da “periferia” diventa “centro”. Questo accade non solo per la genialità, lo spessore spirituale, la cultura e il carattere brusco e radicale di don Lorenzo, ma, crediamo, perché in quel luogo e in quel tempo di vita personale, proprio lì, ha deciso di “comperare il suo campo”. Un gesto radicale, nella direzione dell’obbedienza, che trasforma lo schiaffo ricevuto, in un abbraccio. È la disposizione a pagare fino in fondo un prezzo alto, per amore del suo popolo che tra l’altro ancora non conosceva.

L’episodio pone ancora oggi una questione di fondo che non possiamo eludere e che sentiamo rivolta a noi, al mondo degli adulti, di chiunque vive una qualche dimensione di responsabilità nei confronti di un proprio popolo, piccolo o grande che sia: una famiglia, una circoscrizione, una cooperativa sociale, una scuola, una Chiesa, un Paese: vi è la disponibilità a pagare davvero il prezzo del terreno su cui ci si muove? È un costo sovrabbondante e personale, che non corrisponde e nulla ha a che fare con l’adagio “ognuno faccia la propria parte”. C’è oggi, come a Barbiana ieri, la necessità di agire con eccedenza, andando oltre la dimensione della sola propria responsabilità individuale o del proprio compito, per non correre il rischio di essere nella nostra Barbiana solo dei “passanti e villeggianti”. Ci vuole invece la forza generativa di un nuovo “I care”, “mi importa” per colmare i vuoti e le ingiustizie di oggi.

Il modo migliore per festeggiare il Priore oggi potrebbe allora essere quello di dare uno sguardo meno distratto e fatalista ma più consapevole e critico al nostro mondo colpito da ingiustizie e contraddizioni, attraversato in profondità dallo scandalo della povertà di molte persone, violentato dalla follia della guerra, ancora paurosamente rifugiato nel distanziamento sociale e semplicemente, da Adulti, decidere di “comprare il campo” che ci è stato affidato.

* direttore cooperativa Punto d’Incontro

** presidente cooperativa Progetto 92

Pubblicato da: Mattia Civico | 21 agosto 2021

Di corridoi e Ponti aerei – Afghanistan 2021

Pubblicato da: Mattia Civico | 28 ottobre 2020

NUOVI LEADER

L’altro giorno ero a teatro. L’ultima sera prima della chiusura imposta dalle misure anti-covid.

Mi ha toccato la cura con cui il direttore del teatro e l’attore protagonista hanno salutato (per ora) il proprio pubblico. Poche parole, soprattutto gesti: seduto sul palco, racconta cosa significhi per lui la chiusura del suo teatro e promette di aspettarci. Il saluto all’uscita… a presto! Spiegavano senza parole e trasformavano ciò che stava accadendo anche per noi. “Anche se non ci vedremo, vi si penserà e vi si aspetterà.”

Ho pensato quella sera che avevo indubbiamente di fronte due leader di una micro comunità.

E ho quindi pensato che……

…. ogni stagione ha i leader che si merita. Non per lamentarmi degli attuali: lo dico con speranza, perché questo tempo difficile, se terremo gli occhi aperti, ci consegnerà nuovi leader e soprattutto nuovi modelli di leadership.

Il tema è Politico in senso ampio e non riguarda solo la politica: riguarda tutti, perché tutti siamo e possiamo essere ancora di più “leader”: siamo infatti tutti, consapevolmente o meno, alla guida con qualcuno verso qualcosa; siamo tutti parte di una micro e macro comunità: siamo padri e madri, figli, siamo colleghi, vicini di pianerottolo, cittadini di un quartiere, educatori, commercianti, vigili, acquirenti, rappresentanti di classe, insegnanti, sarti, parroci, contadini, assistenti sociali, operai, artisti, giardinieri, librai, autisti di autobus, disoccupati, bibliotecari, parrucchieri, impiegati, atleti, studenti, taglialegna, baristi, giornalisti, panettieri, pensionati, sanitari, calzolai, … tutti.

Ognuno “può” – e forse a questo punto “deve” – esercitare il proprio potere personale per guidare la comunità di cui è parte fuori da questo tempo incerto. Non è un potere che è possibile delegare, magari per poi lamentarsi. Ognuno, in quanto parte, può e deve fare la propria parte.

Questo tempo, poi, ha un ulteriore vantaggio: stana i leader farlocchi (tanti? pochi?), quelli cioè che pur avendolo, non agiscono la responsabilità che hanno, che non sanno come fare e soprattutto non hanno la minima intenzione di farlo, che non presidiano lo spazio di campo che vivono, che “approfittano” della pandemia per fare un passo indietro e nascondersi. Si sono già svelati e si sono dileguati, spariti dal radar. Non stanno guidando.

Nuovi leader quindi stanno inevitabilmente emergendo: orientati con evidenza ed esclusività al bene comune, che curano il dettaglio, che fanno della premura e della gentilezza la propria cifra, che cercano collaborazione, che sanno ascoltare e che non celano i propri pensieri o le proprie emozioni, che non temono l’intelligenza e l’eccellenza altrui, che conoscono i propri limiti, che studiano ed approfondiscono, che non cercano il proprio tornaconto, che hanno paura ma non scappano, che non hanno paura ma coltivano il rispetto, che sanno aspettare, che sanno tacere, che ridono, che sono lealali. Che quando una strada ancora non c’è, la cercano.

Teniamo gli occhi aperti perché sono intorno a noi, ma non urlano e non sgomitano. Puoi essere tu, posso essere io. Gli altri, quelli farlocchi, non ci sono già più.

Immagine: Land 2009 – di Matteo Boato

Pubblicato da: Mattia Civico | 29 Maggio 2020

Le (ultime) parole sono importanti

Le ultime parole meriterebbero sempre rispetto.
Sono l’ultimo suono che uno lascia, l’ultima interferenza con il mondo.

Andrebbero sempre raccolte, le ultime parole. Mai dovrebbero essere pronunciate in solitudine.

Lo abbiamo capito definitivamente in questo tempo, che a qualcuno ha tolto la possibilità dell’ultimo saluto, di una ultima parola.

Le ultime parole….

A volte sono saluti sereni, a volte sono parole di gratitudine. Alcune ultime parole sono di rabbia o di dolore. A volte son solo sospiri.

Chissà quali saranno le mie ultime parole (più tardi possibile s’intende….).

Troppo spesso accade in ogni angolo di mondo che le ultime parole siano di paura, di resa alla violenza…. un vero Peccato, non trovi?

Queste sono le ultime parole di George Floyd.

george“È la mia faccia, amico
Non ho fatto niente di serio, amico
Per favore, per favore
Per favore, per favore
Per favore, non riesco a respirare
Per favore, amico
Per favore qualcuno
Per favore, amico
Non riesco a respirare
Non riesco a respirare
Per favore, per favore
(inudibile)
L ‘ uomo non riesce a respirare la mia faccia
Alzati e basta
Non riesco a respirare
Per favore (inudibile)
Non riesco a respirare
Vorrei….
Non riesco a muovermi
mamma!
mamma!
Non posso….
il mio ginocchio
Le mie noci
Ho finito
Ho finito
Sono claustrofobico
Mi fa male lo stomaco
Mi fa male il collo
tutto fa male
un po ‘ d’acqua o qualcosa del genere
Per favore, per favore
Per favore, per favore
Non riesco a respirare agente
Non uccidermi!
Mi uccideranno, amico
Forza, amico
Non riesco a respirare
Non riesco a respirare
mi uccideranno
mi uccideranno
Non riesco a respirare
Non riesco a respirare
Per favore signore
Per favore, per favore
Per favore, per favore
Per favore, non riesco a respirare ”

Oggi su L’Adige un mio intervento su scuole chiuse e responsabilità: ovvero quando si rischia di essere irresponsabilmente responsabili, o viceversa……..
…………………………………………………………………………………………
“Le palestre hanno riaperto. Le Chiese hanno già visto ripopolarsi le navate. Bar e ristoranti sono apparecchiati.
Il parrucchiere e l’estetista possono tornare a forbici e pinzette.
Attendiamo la riapertura di teatri e i musei (siamo immersi in una storia da reinventare: c’è urgenza di cultura e creatività).
Fra poco apriranno le frontiere interne e raggiungeremo spiagge, alberghi e campeggi.
Con questa Fase due e le progressive riaperture, stiamo tornando alla quasi normalità.
No. Per nulla.
In questa corsa alle riaperture, il mondo degli adulti ha pensato solo a sé. Ci siamo dimenticati le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, silenziosi ogni giorno di più davanti agli schermi del loro computer o tablet.
Nessuno sforzo per riaprire anche solo simbolicamente la scuola. Neanche un’ora in settimana.
Così Rossella finirà il suo ciclo delle elementari senza rivedere i suoi compagni che per cinque anni hanno affollato le sue giornate. I suoi maestri se ne andranno dal suo presente in dissolvenza, senza disturbare. Le aule rimarranno vuote, nell’assenza di ricordi e di riti di passaggio.
Non ci credo che non era possibile pensare ad una apertura, anche solo simbolica.
Un giorno, anche solo una mattina. Un’ora. Per salutarsi. E ringraziarsi del tempo passato insieme.
Lo avrei immaginato così: l’ultima settimana di scuola il dirigente scolastico convoca una quinta elementare diversa ogni giorno e li raduna belli distanziati nel cortile, con guanti e mascherina. Anche lui con guanti e mascherina. E fa questo discorso:
”Care bambine, cari bambini. Grazie di essere stati con noi per questi cinque anni. Abbiamo insieme imparato tantissime cose, siamo tutti diventati più grandi. E abbiamo soprattutto capito insieme che con impegno e creatività, possiamo inventarci sempre una soluzione. Proprio come oggi. Perché il desiderio di vederci e l’amore che abbiamo l’uno per l’altro ci ha fatto fare uno sforzo, proprio come quello che stanno facendo ristoratori, parroci, verdurai… perché anche se non siete nostri clienti, siete comunque importanti per noi!”
Non accadrà.
Non solo la scuola, ma anche lo sport: Giorgio ad inizio anno ha iniziato a giocare a baseball ed è la cosa che gli manca di più. E sono certo che è così anche per i suoi allenatori e per i suoi compagni di squadra. Non si rivedranno a breve perché non si può.
C’è una grande ipocrisia di fondo in questi due piccoli esempi: sapete perché non si può? Non per la sicurezza (è più pericoloso mangiare una pizza, prendere la Comunione in Chiesa o sedersi in classe un’ora in settimana a due metri di distanza con guanti e mascherine e un educatore che accompagna?).
Non si può fare semplicemente perché nessun adulto, nessun decisore politico, nessun dirigente vuole prendersi la responsabilità di farlo. Per paura: e se poi succede qualcosa?
Quello della responsabilità è un tema non trascurabile, ma non può essere paralizzante, non può trasformarsi in angoscia che blocca qualsiasi pensiero. Non può essere un’arma di ricatto, la responsabilità.
Avremmo bisogno di riappacificarci tutti, permettere ad ognuno di agire la propria responsabilità senza il terrore, le minacce e gli scaricabarile di ciò che accadrebbe se accadesse qualcosa.
Perché se davvero interessasse il destino dei giovani, penseremmo che abbiamo delle responsabilità nei loro confronti e vedremmo bene che anche loro sono in Fase 2: stanno riprendendo ad uscire, si vedono, si frequentano (per fortuna!!!). Lo fanno da soli, senza di noi. E se poi succede qualcosa? Nessuno sarà responsabile.
E invece i minori avrebbero urgente bisogno che la comunità degli adulti li accompagnasse in questa fase 2 e pure nelle prossime. Perché ora è tutto sulle spalle delle famiglie. Spalle sempre più appesantite.
Se pensassimo a loro, invece che a noi e alle nostre paure, staremmo loro accanto e faremmo insieme delle cose: scuola, sport, gite, camminate, pedalate…. adulti e bambini insieme. La scuola e lo sport non valgono meno di una messa, una pizza e una spuntatina alla frangetta.
Ma non sarebbe responsabile.

 

ladige

 

Pubblicato da: Mattia Civico | 10 dicembre 2019

Una lezione di politica gentile

SARDINE ADIGE 2019.12.10Su L’Adige di oggi una mia breve riflessione sulla piazza delle sardine e su cosa il centrosinistra potrebbe vedere in questo movimento. Grazie al direttore Faustini per l’ospitalità.

Pubblicato da: Mattia Civico | 6 Maggio 2019

La scelta di accogliere

Il Consiglio Generale dell’Agesci, riunito a Bracciano, ha approvato all’unanimità il 27 aprile 2019 il documento “La scelta di accogliere”.

Il frutto di un bel lavoro, fatto in tanti (350 i capi rappresentanti di tutte le Regioni), che ha fatto sintesi di quatto giorno di pensieri, ascolto, testimonianze, preghiera. Per essere fedeli anche oggi alla Promessa che ci impegna a: “ fare del mio meglio …. per aiutare gli altri in ogni circostanza”.

Secondo me va letto, meditato…. e soprattutto agito.
Buona strada, sulla strada.

 

Foto di Claudio Milone

la scelta di accogliere

mattia e marica la scelta di accogliere

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da: Mattia Civico | 15 dicembre 2018

#PRIMALITALIANO

Su iniziativa dell’associazione DEMO (www.demotrento.com) una buona idea per i regali di Natale…… e se clicchi sull’immagine puoi vedere un bel video che spiega bene come senza conoscenza della lingua possano nascere dei pericolosi malintesi…..

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Pubblicato da: Mattia Civico | 10 dicembre 2018

Diritti e doveri: Maratona 2018

Ho partecipato alla maratona di lettura in occasione del 70mo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Ho letto il discorso di insediamento che Nelson Mandela ha pronunciato a Pretoria il 10 maggio 1994. Il suo “never, never, and never agami” mi sembra attualissimo.A52975D6-D57A-4A8E-93B0-EEEA7886DCFA.jpeg

Vostre maestà, vostre altezze reali, illustri ospiti, compagni e amici,
oggi, con la nostra presenza qui e con i festeggiamenti in altre parti del paese e del mondo, tutti noi conferiamo onore e speranza alla libertà appena nata.
Dall’ esperienza di una terribile catastrofe umana, che troppo a lungo si è protratta, deve nascere una società di cui l’umanità intera sarà fiera.
Le nostre azioni quotidiane di comuni cittadini devono dare vita a un’autentica realtà sudafricana che rafforzerà la fede dell’uomo nella giustizia, consoliderà la sua fiducia nella nobiltà dell’animo umano e sosterrà la speranza di un’esistenza meravigliosa per tutti noi.
Tutto questo lo dobbiamo tanto a noi stessi quanto ai popoli del mondo che oggi sono qui così ben rappresentati.
Ai miei compatrioti posso dire senza timore di sbagliare che ciascuno di noi è intimamente legato alla terra di questo bel paese quanto lo sono i famosi alberi di jacaranda di Pretoria e le mimose del Bushveld
Ogni volta che uno di noi tocca questa terra, avverte un senso di personale rinnovamento. L’umore dell’intera nazione cambia con l’alternarsi delle stagioni.
Una sensazione di gioia e di euforia ci pervade quando l’erba diventa verde e i fiori sbocciano.
Questa comunione spirituale e fisic
a che tutti noi avvertiamo con la nostra madrepatria spiega il profondo dolore che gravava sui nostri cuori nel vedere il paese lacerato da un terribile conflitto, nel saperlo disprezzato, messo al bando ed emarginato dai popoli del mondo, e questo perché era diventato il fondamento universale dell’ideologia e della pratica perniciose del razzismo e dell’ oppressione razziale.
Noi, popolo del Sudafrica, che fino a poco fa vivevamo nell’illegalità, siamo felici di essere stati riaccolti in seno all’umanità e di avere oggi il raro privilegio di ospitare sul nostro suolo le nazioni del mondo.
Ringraziamo i nostri illustri ospiti internazionali che sono venuti a condividere con il popolo di questo paese quella che in fin dei conti è una vittoria di tutti, per la giustizi
a, la pace e la dignità umana.
Confidiamo nel fatto che continuerete a sostenerci nell’affrontare la sfida di costruire una società fondata sulla pace, sulla prosperità, sul rifiuto della discriminazione sessuale e razziale, e sulla democrazia.
Apprezziamo molto il contributo che la nostra gente, i leader politici democratici, religiosi, delle donne, dei giovani e del mondo dell’impresa, i capi tradizionali e altre personalità hanno dato per giungere a questo risultato. Non ultimo tra loro è il mio secondo vicepresidente, l’onorevole F.W. de Klerk.
Vorremmo inoltre rendere omaggio ai membri di ogni grado delle nostre forze di sicurezza per il ruolo fondamentale che hanno svolto nel proteggere le, nostre prime elezioni democratiche e la transizione verso la democrazia da quelle forze sanguinarie che ancora si rifiutano di comprendere.
È giunta l’ora di guarire le ferite.
È arrivato il momento di colmare l’abisso che ci divide. È tempo di costruire.
Ora che abbiamo finalmente raggiunto l’emancipazione politica, ci impegniamo ad affrancare il nostro popolo dalla schiavitù ancora in essere della miseria, della privazione, della sofferenza, della discriminazione sessuale e di ogni altro genere.
Siamo riusciti a muovere gli ultimi passi verso la libertà in una condizione di relativa pace. Ora ci dedicheremo a instaurare una pace completa, equa e duratura.
Gli sforzi che abbiamo compiuto per infondere speranza nei cuori di milioni di persone sono stati premiati. Il nostro impegno formale è adesso quello di costruire una società in cui tutti i sudafricani, neri e bianchi, potranno camminare a testa alta, senza la paura nel cuore, certi del loro inalienabile diritto alla dignità umana – una nazione arcobaleno in pace con se stessa e con il mondo.
A dimostrazione del proprio impegno per il rinnovamento del paese, il nuovo governo di unità nazionale ad interim tratterà con la massima urgenza la questione dell’amnistia per diverse categorie di nostri concittadini che stanno attualmente scontando una pena detentiva.
Dedichiamo questo giorno a tutti gli eroi e le eroine di questo paese e del resto del mondo che si sono sacrificati in tanti modi e che hanno dato la propria vita perché noi potessimo essere liberi.
Il loro sogno è diventato realtà. La loro ricompensa è la libertà.
È con u
miltà ed entusiasmo che ricevo l‘onore e il privilegio che voi, popolo del Sudafrica, mi conferite di guidare il nostro paese fuori da questa valle oscura, in qualità di primo presidente di un Sudafrica unito, democratico e libero da discriminazioni razziali e sessuali.
Ci rendiamo conto tuttavia che non esiste una strada facile per la libertà.
Sappiamo bene che nessuno di noi può farcela da solo.
Per questo dobbiamo agire insieme, come un popolo unito, per riconciliare il paese, per costruire la nostra nazione, per dare vita a un nuovo mondo.
Che ci sia giustizia per tutti. Che ci sia pace per tutti.
Che ci sia lavoro, pane, acqua e sale per tutti.
Che tutti sappiano che il corpo, la mente e l’animo di ogni uomo sono ora liberi di cercare la propria realizzazione.
Mai
, Mai e poi Mai dovrà accadere che questa splendida terra conosca di nuovo l’oppressione dell’uomo sull’uomo e patisca l’indegnità di essere la vergogna del mondo.
Che il sole non tramonti mai su questa
gloriosa conquista dell’umanità.
Che regni la libertà. Dio benedica l’Africa.

Pubblicato da: Mattia Civico | 7 novembre 2018

Decreto (in)sicurezza: appello ai parlamentari

Appello ai parlamentari: conversione in legge del Decreto-Legge 4 ottobre 2018, n.113

Il Decreto-Legge 4 ottobre 2018, n.113, di cui è in corso la conversione in legge introduce nella sua prima parte radicali cambiamenti nella disciplina dell’asilo, dell’immigrazione e della cittadinanza, alcuni dei quali sono stati aggiunti mediante emendamenti che induriscono ulteriormente un’iniziativa legislativa già molto aspra.

In via preliminare osserviamo come il passaggio dalla figura del permesso di soggiorno per motivi umanitari (pensato nella previgente disciplina come clausola generale) ad un ristretto numero di permessi di soggiorno per “casi speciali” necessiterebbe di alcune misure aggiuntive rispetto alle previsioni del decreto-legge, che siano idonee a rendere tale passaggio meno traumatico.

Alla data odierna, infatti, circa 140.000 persone titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari rischiano di cadere o di ricadere in una condizione di irregolarità del soggiorno che li esporrà al rischio di povertà estrema, di marginalità e di devianza.

Riguardo alla nuova disciplina dei permessi di soggiorno per casi speciali, esprimiamo preoccupazione per il fatto che tali permessi di soggiorno sono configurati come autorizzazioni estremamente precarie, quasi sempre non rinnovabili e non convertibili, ad esempio, in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Questo significa che successivamente al primo anno di applicazione della nuova disciplina, molti tra coloro che oggi stanno per prendere un permesso di soggiorno lo perderanno, diventando irregolari.

Si va dunque generando, in nome della sicurezza, un inasprimento della disciplina del soggiorno che aumenterà la propensione all’illegalità e renderà più fragile la coesione sociale anche per le famiglie italiane, mentre per le imprese diverrà più difficile reperire legalmente mano d’opera giovane e motivata, ad esclusivo vantaggio dei pochi imprenditori disonesti e della criminalità organizzata.

Siamo invece convinti che non possa esservi davvero sicurezza senza la consapevolezza che, di fronte all’assenza di adeguati flussi di ingresso regolare e ad un drastico calo degli sbarchi sulle nostre coste, occorre favorire al massimo l’integrazione e non avventurarsi in norme che rischiano di allargare l’irregolarità.

I firmatari guardano dunque con grande preoccupazione allo smarrimento del senso di equilibrio e di moderazione nelle politiche sull’immigrazione, sostituito dal compiacimento per gesti e segnali di durezza che tuttavia,  producendo sofferenza, non risolvono i problemi ma li acuiscono.

In particolare, vediamo come molte più risorse verranno spese per la detenzione amministrativa degli stranieri in condizione di irregolarità sino a 180 giorni e forse anche più, in luogo del termine massimo di 90 giorni vigente sino ad oggi. Ciò accade, peraltro, senza avere acquisito l’autorevolezza necessaria per ottenere dai governi dei paesi di origine accordi di rimpatrio ad un tempo efficaci e rispettosi dei diritti umani fondamentali.

Nel contempo, purtroppo, le politiche di promozione dell’integrazione vengono sottovalutate, sottraendo loro l’intelligenza politica e gli investimenti che sarebbero necessari.

La stessa protezione internazionale viene mortificata mediante la predisposizione di procedure che paiono avere l’unico obiettivo della celerità, senza garantire un ascolto adeguato, senza alcuna certezza di un giusto procedimento ed in diversi casi senza nemmeno consentire l’ingresso e l’ospitalità del richiedente asilo sul territorio nazionale.

Conoscendo la situazione delle carceri italiani e le finalità cui esse dovrebbero essere ordinate, assistiamo con viva preoccupazione all’aumento delle pene detentive motivate solo dalla irregolarità del soggiorno per coloro che sono stati respinti o espulsi.

Infine ci preoccupa la grave involuzione di civiltà giuridica esercitata riguardo alle procedure per l’acquisto della cittadinanza.

In un Paese che ha fatto della trasparenza e della regolamentazione dei tempi procedimentali (determinati ordinariamente in un massimo di 90 giorni)  i suoi due basilari obiettivi di riforma della pubblica amministrazione, si colora di toni fortemente discriminatori la decisione di determinare in ben 48 mesi il termine procedimentale per la definizione delle domande di acquisto della cittadinanza da parte di persone residenti in Italia già da molti anni.

Le esigenze di onestà, trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione vengono così umiliate dall’eliminazione dell’obbligo a rispondere con un minimo di sollecitudine ad una domanda che dovrebbe ritenersi di grande importanza sia per il richiedente sia per la grande comunità dei cittadini.

Ci rivolgiamo dunque ai Senatori della Repubblica perché si adoperino, in queste ultime e brevi ore di dibattito parlamentare, a migliorare le norme sottoposte al loro scrutinio.

Per il bene del Paese e la sicurezza di tutti non conviene aumentare l’irregolarità ma rafforzare i percorsi di integrazione.

 

Comunità di Sant’Egidio, ACLI, Centro Astalli, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Casa della Carità di Milano, Caritas Italiana, FCEI (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia), Tavola Valdese, Fondazione Migrantes, ASCS (Agenzia Scalabriniana Cooperazione allo Sviluppo

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